Lavori in apiario nel mese di Marzo 2010
Il problema “varroa” mi ronza costantemente nelle orecchie, quello che più mi disturba non è tanto il suo meccanismo di sviluppo ma la consapevolezza di doverlo subire quasi passivamente.
Certo le api hanno una ripresa meravigliosa, lo hanno dimostrato l’anno scorso, il pensiero che per vincere questo acaro si imbocchi la strada della chimica che porta all’interno dell’alveare dei principi attivi più o meno invasivi per la cera, il miele e la propoli, non mi soddisfa.
Farmaci, tolti dal libero mercato, usati senza nessuna professionalità e controllo, potevano essere non dico dannosi ma inquinanti per gli alimenti! Oggi si riscoprono e si riusano, magari con ricetta veterinaria, con il pretesto di salvare le api.
Vorrei rifare assieme a voi una riflessione che più volte ho fatto da solo anche se non ho la certezza che possa essere praticata da tutti, per l’impegno e il tempo che uno deve mettere a disposizione. Credo che, come tutte le cose che si eseguono per la prima volta, possano sembrare complicate.…. ma provare, forse, non nuocerà certamente né alle api né ai prodotti che ne ricaviamo.
Se all’inizio di Marzo, in giornate soleggiate, ci apprestiamo a fare le prime visite veloci, possiamo alla fine di queste, dopo aver controllato che la covata sia ancora tutta aperta, eseguire un trattamento di acido ossalico gocciolato: le famiglie in questo periodo non sono tanto popolate per cui con pochi c.c. di soluzione riusciamo ad arrivare a tutte le api, dopo qualche giorno andremo a contare le varroe nei vassoi e potremo farci un quadro di come si presenta l’infestazione della famiglia.
Nell’ultima settimana di Marzo provvederemo ad inserire il telaino da melario, ponendolo fra l’ultimo di covata e quello delle scorte, attenderemo che le api costruiscano le cellette di cera e la regina deponga uova che certamente saranno al 90% da maschio. La varroa come sua abitudine tenderà ad entrare con più facilità nella covata maschile, la cella è più larga e accogliente e la larva più grossa è più appetitosa sarà. Trascorsi quindici o venti giorni andremo a togliere il telaino che nella parte sottostante sarà completo di covata da fuco opercolata e all’interno di questa si troveranno una buona parte di quelle varroe che sarebbero andate a riprodursi moltiplicandosi mese dopo mese.
In queste condizioni, avendo messo dello sciroppo nel nutritore per far sviluppare la famiglia, potremo affrontare le fioriture primaverili e quella dell’acacia con un po’ più di certezza che l’alveare non andrà, da un giorno all’altro, in diminuzione di operaie o addirittura in collasso per colpa della varroa.
Alla fine dell’acacia (nella mia zona) non ci sono molti fiori e per qualche giorno si possono togliere i melari, dovremo profittare di questo momento per fare un acido ossalico gocciolato. E’ pur vero che fatto in queste condizione fa cadere solo il 10% degli acari che si trovano nell’alveare, però questo ci permette di sapere se l’infestazione è aumentata e in questa eventualità potremo fermare la produzione per cercare di salvare la famiglia con qualche altro sistema.
Se tutto prosegue bene dobbiamo pensare a riprodurre dei nuclei per l’anno prossimo, in questo modo si potranno dividere quelle famiglie che non sono andate a melario o che non ci hanno soddisfatto durante i raccolti primaverili. Dividendo le famiglie divideremmo anche la varroa e questo è un bene, facendo allevare delle api regine ai nuclei abbiamo la possibilità di trattarli ancora con l’acido ossalico gocciolato nei momenti in cui non c’è covata, ripulendoli al 98-99 % .
Questi piccoli nuclei, sani e con una regina giovane, con poco si sviluppano e rappresentano il pane del domani per l’apicoltore, indispensabili per la rimonta delle famiglie che moriranno nel prossimo inverno. Se ci sarà qualche famiglia in cui la regina non ritorna dal volo nuziale, la riuniremo con il nucleo che gli sta a fianco. Certi che questo potrà accadere cercheremo di fare dei nuclei in più di quelli che pensiamo ci possano servire, se tutti andranno bene vuol dire che oltre ad essere stati bravi saremo stati anche fortunati e avremo la possibilità di regalarne alcuni a qualche amico che ha perso più famiglie di quelle che prevedeva.
Alle famiglie rimaste dovremo cercare di attuare un blocco di covata intrappolando la regina per ventuno giorni (ognuno può scegliere il metodo d’ingabbiamento più consono), in modo di dar spazio alla covata esistente di nascere e di conseguenza alla varroa di uscire dalle cellette. A questo punto faremo un trattamento con acido ossalico gocciolato e puliremo la famiglia dall’acaro al 97-98%: solo in questo modo avremo risanato la famiglia che può ripartire con una covata sana e con delle api non più perforate dalle varroe.
Forse qualcuno dirà che questa operazione è più facile a dirsi che a farsi; allora cominceremo a marchiare le nostre regine verso la fine di marzo, quando nell’alveare c’è già della covata fresca e qualche fuco maturo, se dovessimo rovinare qualche regina le api sapranno bene come sostituirla.
Durante l’operazione dell’ingabbiamento della regina possiamo lasciare i melari sopra gli alveari e le api continueranno a portare miele nel melario, in qualche casetta però cercheranno di intasare il nido allora per essere previdenti, nel momento dell’ingabbiamento, toglieremo i due telaini che si presentano più vuoti, riposizionandoli al momento in cui si libera la regina.
Nel frattempo con tutte queste operazioni saremo arrivati quasi alla fine di luglio, la stagione apistica sta per concludersi ma non la nostra attenzione per la varroa. Se dopo aver tolto i melari, le temperature sono ancora elevate (mese di agosto), possiamo mettere all’interno degli alveari delle tavolette di Api Life Var o Apiguard per verificare se ci possono essere ancora delle varroe.
Non so cosa penserete di questi miei modi di agire, certo che se avete seguito il mio ragionamento non potete non aver capito che in una forma o nell’altra “ questo è il momento di darsi un programma di lavoro per la stagione apistica” sia per quella che sta iniziando che per quella dell’anno venturo, solo ora possiamo preparaci le basi per un fruttuoso lavoro, salvando le nostre famiglie ed evitando l’uso della complessa industria farmaceutica.
Mi devo scusare con tutti voi per queste riflessioni forse un po’ saccenti ma sono fatto così, non so tacere e guardare da un’altra parte, quello che trovo giusto, dopo aver riflettuto, devo dirlo, altrimenti mi rimane un nodo in gola.
Ritornando ai nostri lavori in apiario, armiamoci di affumicatore e leva, in una giornata di sole con la temperatura superiore ai quindici gradi, incominciamo a camminare davanti ai nostri alveari.
Guardando i predalini di volo distingueremo subito le famiglie forti dalle famiglie deboli, noteremo se sul terreno sottostante ci sono delle api che camminano per terra o sui fili d’erba, indice d’infestazione di varroa. Sicuramente quello che ci incuriosirà di più sarà l’alveare dal quale non vedremo uscire le api.
Spostandoci dietro gli alveari, da una lettura attenta dei vassoi, possiamo capire cose succede all’interno delle famiglie imputate. Se le scorie che sono depositate nel vassoio, sono scaglie grosse di cera e si presentano in grandi quantità, ciò significa che l’alveare è stato saccheggiato, se il vassoio è pulito senza nessuna scoria è indice che all’interno non c’è nessun movimento e con molta probabilità la famiglia è deceduta.
Cominceremo a visitare prima queste; aprendo il coprifavo annuseremo l’odore che ne esce, se l’odore è di putrefazione allora dobbiamo metterci in allarme, potremmo trovarci davanti ad una famiglia colpita da peste americana; per ogni evenienza teniamo sempre degli stuzzicadenti a portata di mano. Indossando dei guanti monouso andremo ad alzare i telaini centrali e osserveremo se la covata opercolata ancora esistente, ha l’opercolo infossato o se ci sono delle cellette con della poltiglia o scaglie bianche nel loro fondo. Con lo stuzzicadente andremo a forare l’opercolo o a sollevare la poltiglia all’interno, dolcemente lo toglieremo osservando che dalla punta non si formi un filamento lungo più di cinque millimetri. Se dovesse accadere si può decidere di bruciare il tutto o di sentire un esperto apistico della zona, in ogni caso si richiuderà l’alveare in maniera ermetica, usando del nastro adesivo da pacchi o quant’altro. Svolgere questi lavori in maniera disordinata, senza prestare attenzione che le api di altri alveari si posino nei telaini della famiglia interessata, vuol significare che stiamo contagiando tutto l’apiario.
Se queste situazioni non si presentano allora andremo ad analizzare il motivo della mortalità della famiglia, valuteremo la posizione delle scorte se si trovavano vicino o distante dal glomere, la loro quantità e che tipo di miele contenevano, facendo un’analisi di questi dati arriveremo certamente a delle conclusioni vicine alla realtà.
Nella speranza che questo possa succedere solo al altri, continueremo le nostre visite alle altre famiglie: osserviamo quante sono le scorte e quanto distanti si trovano dalla covata. Vi ricordo che in questo mese le api sono portate a consumare quasi il doppio degli altri mesi. Potremo aiutarle con del candito ed appena sono terminate le brinate mattutine cercheremo di alimentarle con dello sciroppo liquido.
In ogni caso la parola d’ordine in questo periodo è :“ RISTRINGERE LA CAMERA DI COVATA” vorrei dire che le api devono trasbordare dai diaframmi che delimitano lo spazio abitativo dell’alveare. Più strette sono e più si riscaldano, lo sviluppo della covata sarà più regolare e le api si difendono meglio, anche dal nosema che in questo periodo è sempre latente nelle famiglie appena uscite dalle grigie ed umide giornate d’inverno. Se una famiglia si presentasse molto forte cerchiamo di pareggiarla con una debole, io normalmente senza troppa difficoltà la scambio di posizione con una più esile. Ricordiamoci il proverbio che dice “Marzo pazzerello” non fidiamoci molto, forse i ripari dal freddo è meglio lasciarli.
Non dimentichiamoci che anche il polline, in questo momento gioca un ruolo determinante nello sviluppo della covata: dobbiamo assicurarci che non manchi all’interno dell’alveare, verificando che sia integro e che non presenti muffe o quant’altro.
Per ultimo osserviamo la cera che compone i telaini, facciamoci un programma di lavoro adesso che abbiamo ancora un po’ di tempo a disposizione, prepariamo i telaini armati e pronti per l’inserimento del foglio cereo, appena la temperatura non la renderà più dura e cristallina. Un mio amico, convinto che il far lavorare la cera alle api sia tutta salute per la famiglia, non solo cambia tre telaini all’anno ma addirittura ne incide sopra la data di utilizzo.
Altre cose dovrei dire ma forse mi sono fatto prendere la mano e per non annoiarvi ulteriormente auguro un buon lavoro a tutti.
Un saluto e al prossimo mese
Paolo Franchin ... |